Oggi non leggerete L’Irriverente, lui è già in ferie | Buona Estate a tutti!
L’estate sta finendo, un anno se ne va, così cantavano nel 1985 Stefano “Michael” Rota e Stefano “Johnson” Righi del due musicale i Righeira, un anno dopo la mia venuta al mondo, e siccome la mia di estate invece che terminare sta per cominciare adesso, partirò per una missione segretissima a favore della pace del mondo, ma non ditelo a nessuno, volevo lasciarvi e salutarvi, nell’augurio di ritrovarvi tutti a settembre, con un piccolo dono, un pensiero gentile per voi che, oltre a leggermi in tanti il mercoledì, ogni giorno riuscite educatamente a tenermi compagnia sulle mie pagine.
In questi mesi abbiamo analizzato programmi e personaggi, ci siamo arrabbiati con la nuova edizione del Grande Fratello e poi ci abbiamo fatto pure pace, abbiamo sindacato su fatti mai accaduti e persone non ancora incontrare, ma ci siamo anche soffermati sulle mode e le manie che spesso ci accomunano e ci rendono così maledettamente umani. Ci siamo persino riscoperti dei perfetti socialdrunk senza entrare in analisi per questo e abbiamo festeggiato tutti insieme entusiasticamente, chi più chi meno, il 20 giugno la giornata mondiale che L’Irriverente ha proclamato all’insegna dell’autocelebrazione. A proposito della giornata dell’autocelebrazione, quelli de “La gente che piace” ci hanno dedicato un bellissimo articolo nelle scorse settimane a firma di Kevin Dellino. Grazie e stragrazie! È giunta l’ora, lettori miei, siamo arrivati agli sgoccioli, mi sudano addirittura le ginocchia, di mettere al fresco dentro il freezer, giusto per disintossicarmi dai troppi pensieri, quei due o tre neuroni che girano all’impazzata nella mia testa.
Oggi non leggerete L’Irriverente, lui è già in ferie, pensate, l’ho visto correre euforicamente dietro un sogno… prima però aveva annegato rimpianti e rimorsi senza un briciolo di pietà! Forse per molti di noi è il caso di seguire le sue orme. Oggi leggerete uno dei miei ultimi scritti, il racconto Gabbiani, contenuto nell’antologia di autori vari Mi ricordi il mare (L’Erudita edizioni – giugno 2018) a cura di Stefania De Caro. Spero vivamente vi terrà compagnia, mentre vi ustionate alla faccia mia sotto il solleone oppure, mentre seduti sul water attendete il momento giusto per tirare lo sciacquone e andare via! Buona estate a tutti, specialmente a quelli che non hanno le ferie e guardano comunque al futuro con gli occhi strapieni di speranza.
Casomai non ci rivedessimo, spero non dipenda da me.
Un bacio sulla pelle del vostro cuore.
Simone Di Matteo
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Siamo schiavi della nostra Terra. Vincolati da una cultura bugiarda. Servi di menti tiranne. Custodi silenziosi di sogni. Vigliacchi abitudinari. Il mio mondo appartiene al mio tempo. Sono libera dalle tue costrizioni, delle vostre paure. Pioggia che scende. Libera. Acqua che scorre. Libera. Fuoco che brucia. Libera. Vento che soffia. Libera. Terra che trema. Libera. Il mio ventre accoglie solo i frutti della speranza. La mia mente genera nuovi incontri. Per non sentire più dolore ho lavato il peso dei miei giorni. Mi rivesto di te nell’attesa di un noi. Volami altrove. Il mare da sempre cullava ogni suo pensiero. Dal più dolce al più crudele. Dal più grande al più piccolo. Il dolore e la gioia trovano pace solo in compagnia delle onde. Lì si rifugiava e lì ricominciava a sperare, a credere che tutto è davvero possibile quando lo si vuole per davvero.
Puntuale, ogni domenica mattina, alle prime luci dell’alba, percorreva lo stesso sentiero in compagnia di qualche passero solitario. La pineta le offriva nuove sensazioni. Emozioni contrastanti alimentavano il suo bisogno di essere fedele ai sogni che non osava raccontare a nessuno, nemmeno a sé stessa.
In lontananza si apriva alla vista la celestiale costa apparentemente immacolata. L’Astura romana era un approdo alla foce dell’omonimo fiume posto lungo quella che un tempo era chiamata via Severiana,
in seguito divenne una torre costiera fortificata. Il Dio Nettuno l’aveva salvaguardata, come solo un prezioso gioiello si può, quando si vuole, serbare.
Il cinema e gli amori irrisolti erano tra le sue più grandi passioni. Li amava collezionare, catalogare. In serie. Dell’amore amava soprattutto l’amore. Le bastava assaporare l’idea di cui nutriva il passato e il presente in attesa di un nuovo impalpabile è inconfondibile ardore.
Pagine mai scritte si confondevano sullo strato di conchiolina calcificato.
Costruiva parole distruggendo verbi.
Ricomincia da te, dall’insana e sorprendente voglia di ritrovare la bellezza, sfiorita, sulla pelle di chi non è riuscito a starti accanto nei momenti in cui il solo restare bastava. Ricomincia da me, da quei viaggi che farai tra le passioni irrisolte o magari riscoperte nude, sotto cespugli di rose, mentre accarezzi le spine e non hai più paura. Ricomincia a cambiare i percorsi, le strade e le idee trattenute inutilmente, come sabbia tra le dita.
Sembrava avesse un appuntamento con la Torre, proprio per ricominciare. Puntualmente vi arrivava, scioglieva i lunghi capelli corvino nel vento che le accarezzava il pallido viso e si immergeva completamente vestita tra i ruderi che affioravano dall’acqua. Riemergeva diversa, ogni volta mai uguale. Questa volta sarà come l’ho dipinto io, si diceva con occhi incantati. Sarà per sempre, ripeteva.
Per sempre però non esisteva più neanche nelle favole antiche, figuriamoci in quelle moderne. Si può vivere felici, contenti, ma non per sempre, solo per un po’. Gli amori in tutta la sua vita le erano entrati ed usciti dalla pelle, veloci, come le onde del mare quando in burrasca si schianta sulle coste e tutto si trascina via. Fantasticava passioni irrisolte. Immaginava il sapore di tiepidi baci. Inventava nuovi inganni, odierne bugie. Non fidarti dei miei occhi, scriveva sulla sabbia, col tempo hanno dovuto istruirsi a mentire. Fidati, se devi, continuava sulla pelle, del peso che porto sul cuore, delle cicatrici impresse nell’anima, del dolore di cui mai mi sento sazia, di come vivo l’attesa mentre aspetto un ritorno. Trattenne il respiro, era in compagnia del profumo della sua pelle. Avrebbe voluto fotografarlo quel suo momento, filmarlo per ricordarlo, catturarlo per rivederlo, evocarlo per riviverlo, nuovamente, con gli occhi sporchi dal pianto e raccontarlo al vento, a gran voce, al vento che leggero soffiava tra le sue insolite riflessioni. Nell’istante in cui sembrava tutto potesse accadere, nessuno, nemmeno lei comprese quanto tutto fosse già accaduto.
Cumuli di pensieri sparsi, macerie del mio divenire. La bellezza delle cose perse, incide solchi nelle buie memorie. Parlami della tua quiete, di come sopravvivi alla tempesta. Ascolta, è una canzone stonata, l’eco dei miei passi scalzi. La mia casa è in fondo al bosco. Sentieri disseminati, casuali, vi giungono. Tremano, le mie mani, per nuovi e interminabili addii. Stringimi, sono un miraggio cullato dal vento. Ho condito di speranze, il riflesso di un sogno, lungo le rive di questo mio impenetrabile mare. Sono come aquiloni, i miei pensieri, tormenti selvaggi. È cresciuta in fretta, l’immagine di me, trattenuta distante. Si dissolve ogni tristezza, ho acceso un più maturo sorriso sulla pelle del mio cuore.
Risuonano nel cielo ali di gabbiani, bisbiglio di intenti. Nutriti di me, mentre mi spoglio delle nostre illusioni. Siamo ancora schiavi di questo presente, prigionieri di noi. Liberami, appartengo alle gocce che sanno di sale, al di là delle tue debolezze, ben oltre le mie paure.
Il suo corpo, privo di vita, fu ritrovato da un vecchio amante ancora innamorato. I polsi recisi di netto e l’incantevole sorriso stampato sulle languide labbra lasciarono intuire una ritrovata pace della mente e del cuore. La spiaggia era deserta. Il mare calmo. In lontananza un gabbiano banchetta i resti di una vecchia puttana.
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