LIBRIUNO SGUARDO SU...

“Torpedone trapiantati”, inno alla vita. Il diario di bordo, esilarante e malinconico, di una gita di trapiantati

Checco ha cinquantatre anni, è un giornalista e scrittore. Ha una figlia di nome Giulia, una moglie di nome Grazia e una mamma, la signora Mirella – dal carattere forte, indisponente e ironico – comunista e cattolica, come ama descriversi. E conduce una vita tranquilla. Ah, certo, è anche un Figlio del Dono. Dieci anni prima ha ricevuto una seconda occasione dalla vita. Checco è un trapiantato. Di fegato, precisamente. L’Associazione sarda trapiantati è una grande famiglia, i membri hanno tutti combattuto battaglie importanti. Alcuni sono caduti durante il combattimento, chi è vivo è forte di una forza che odora di sofferenza ma anche di gratitudine. Checco non è proprio entusiasta della gita annuale dell’Associazione, cui viene caldamente invitato a partecipare – anche con metodi un po’ duri – dai compagni sopravvissuti come lui, ma alla fine dice di sì. E non solo, anche l’ottantenne signora Mirella viene invitata. E anche la moglie Grazia.

“Quando ho visto un’ottantenne sbucare da un gomito della salita, venirmi incontro, lesta come un capriolo sui sassi traditori, e sbraitare: «Checco, noioso, ma insomma, vi muovete o no?» ho capito di aver commesso l’irrimediabile cazzata dell’anno 2017: partecipare alla gita dell’associazione trapiantati e portarci pure Mamma.”

Checco parte, moglie e mamma al seguito, per raggiungere i suoi compagni – dopo una notte un po’ travagliata, ansiosa e tormentata al punto giusto – ma un problema movimenta sin da subito questo viaggio. Un viaggio un po’ della fortuna, in effetti. Mancano membri del gruppo, si dicono i ragazzi, e mica si possono lasciare indietro. Rotta verso l’ospedale; viene dato il via a quello che da fuori può sembrare un rapimento in piena regola. Per qualche ora, s’intende.

“Dopo circa quindici minuti, Piludu è tornato con due carrozzine piegate. Al primo sguardo sembravano perfette. «Lei, si vesta!» ha detto imperioso aprendo la prima sedia a rotelle e puntando il dito contro signor Piccoletto che, come un razzo e con gli occhi pieni di gioia, ha iniziato a frugare nel cassetto esclamando: «La bagassa, che bello!»”

Inizia così il viaggio. La comitiva è al completo.

Abate scrive quello che è un diario di bordo, un resoconto divertente, certo, ma a tratti amaro. Con una penna ironica, ci regala quello che è un inno alla vita, un modo per ricordare chi non c’è, sfinito dal combattimento, chi c’è, sopravvissuto, e chi – pur non essendoci – vive nel corpo di chi è stato miracolato.

I trapiantati sanno bene di essere portatori di un grande messaggio: qualcuno, morendo, ha donato loro la vita. Queste persone vivono tramite i loro occhi, tramite i loro racconti, tramite il loro respiro. Un pensiero è sempre rivolto a quelle vite stroncate che hanno prodotto speranza. E un pensiero c’è anche per i compagni di viaggio meno fortunati, quelli che, buttati a terra dalla sofferenza, dal dolore, dall’infezione e dal rigetto, sono dall’altra parte.

Insomma, la comitiva di miracolati ha una grossa, grossissima responsabilità: quella di essere felice.

Risa e lacrime, ecco quello che è possibile trovare in questo libro.

Risa perché la vita è bella, ed è bella anche quando colora di allegria i problemi. Acciacchi, bugie bianche, farmaci da prendere, abitudini, amori sbocciati: i protagonisti di questo libro danno vita a una commedia a tratti esilarante, comica. E non sono perfetti, assolutamente, ma hanno una grandissima, smisurata, bellissima voglia di vivere.

 “«Va bene, va bene, all’autogrill di Tramatza ci fermiamo. Intanto potete iniziare a usare il bagno di bordo. Adesso vi sblocco la porta. Fate con ordine. Prima i malati!» E qui c’è stata una risata generale e qualche vaffanculo. Mentre Rino, il nostro presidente, rubando il microfono all’autista ha corretto il tiro: «Prima quelli che prendono il diuretico!»”

Ma anche, come scritto sopra, lacrime… lacrime perché in certe parti è possibile sentire sulla propria pelle l’acuto dolore che porta la morte. Quel grido sordo di quando una vita abbandona un corpo, lasciando indietro parenti, amici e tristezza.

Comunque, quello che rimane è un sentimento doppio. L’idea di esserci svagati con una lettura entusiasmante, ma anche di aver imparato qualcosa. Valori importanti, perle di vita.

  • Pronto Checco.
  • Sì, Mamma, che c’è?
  • Ma fate anche la messa durante la gita?
  • Sì, Mamma.
  • Ma è una messa neocatecumenale?
  • No Mamma. Grazie a Dio no. Ci manca solo la messa neocat.
  • Vabbè, vengo lo stesso, anche se la vostra messa non vale per i punti Paradiso.

Abate riesce a catapultarci in un mondo fatto di paura ma anche di coraggio.

Paura di soffrire, certo, e paura di morire. Ma anche coraggio di vivere. Di rapire i compagni in ospedale perché una gita è più bella quando ci sono tutti. Di ricordare i morti prendendo dalle loro vite il bello, in modo da poter rendere loro onore. Di respirare aria pura e di innamorarsi ogni giorno della vita. una vita dura, sì, ma anche bellissima.

“«Vuoi sapere se il 2018 sarà il tuo ultimo anno di vita?» Il primario mi ha letto nel pensiero.

«Sì.» «Potrebbe esserlo. Ma potrebbe esserlo di tutti, potrebbe essere il mio. Tu come ogni trapiantato corri più rischi. Lo sapevi e lo sai. Lo vuoi un consiglio?» «Certo.» «Continua a vivere come stai facendo. Come se oggi fosse l’ultimo giorno.» «Sto vivendo così?»

«Ai nostri occhi, noi che vi abbiamo rimesso in pista, che vi curiamo e vi assistiamo di settimana in settimana, tu e gli altri disgraziati che vi siete infognati nel rapimento dei vostri compagni, sì. E continuate con questo entusiasmo, cavolate comprese. Comunque, con i nuovi farmaci la vita media di un trapiantato di fegato è di ventisei anni.» Mi sono illuminato e anche un po’ incarognito. «Maledetti» ho esclamato, tanto che dalle file davanti alcuni si sono girati. «Maledetti bugiardi.»”


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Federica Cabras

Ventiseienne, grande sognatrice. Legge per 12 ore al giorno e scrive per le restanti 12. Appassionata di cani, di crimine, di arte e di libri. Dipendente dalle paste alla crema. Professione, giornalista.