“Un professore”, tanti motivi per vederlo | RECENSIONE
Da incubo della nostra giovinezza a rimpianto dei giorni nostri: la scuola rappresentata da “Un professore” è un’immagine (o ideale) che si scontra con un immaginario più desolante, tra individualismo e trascuratezza architettonica, capace di farci sognare in questi gelidi martedì e giovedì sera di fine anno. Attraverso una seconda stagione altrettanto di successo, la fiction Rai presa in mano da Alessandro Casale è un ecosistema narrativo, fatto da tante anime complesse che riescono, perlomeno in orario di lezione, a uscire dai propri nuclei e creare comunità. Il filo invisibile è dato dai tanti filosofi che nascondono le sottotrame di ogni episodio, enunciati egregiamente da un Alessandro Gassmann in una veste sempre più rassicurante dentro mamma Rai. Ma quali sono i punti salienti che la rendono secondo noi una fiction che lascia il segno? Eccoli elencati!
1. L’EMPATIA DI UN PROFESSORE
Un po’ John Keating in “Deads Poety Society” , un po’ Tony D’Amato in “Any given sunday”: Dante Balestra (Alessandro Gassmann) struttura in ogni lezione un dialogo motivazionale alla pari con i suoi allievi, memore di altri filoni cinematografici che inneggiano a questo valore, con un forte senso autocritico e spontaneo. Non c’è in pratica un’immagine asimmetrica dell’oratore ‘caput mundi’ , bensì di un uomo “imperfetto” che si avvale della sua arma, la filosofia, per portare a sé stesso e a chi lo circonda messaggi utili per affrontare la vita. Arricchendoli di un contesto onirico, con le classiche uscite fuori dalla scuola nella sua ora di lezione, il Professore incarna un’esempio positivo per i ragazzi, riuscendo a scardinare i muri più alti creati da una generazione ritenuta indecifrabile.
2. UNA CLASSE PRONTA A METTERSI IN GIOCO
Dall’altra parte della cattedra, si vedono banchi di ragazzi che, lungi da una visione troppo aggressiva dei media (fra la piaga del bullismo e i brutti voti), restituiscono le fragilità di un’epoca incerta e precaria dove si trovano immersi. Ognuno con i sacrosanti scheletri nell’armadio, ma pronto a mettersi in gioco quando viene sollecitato da un insegnante motivante e volitivo come Dante. Da questo input terapeutico, fuoriescono infatti tutti i segreti più duri, come la maternità precoce (e devastanti effetti), il tribolato “viaggio della speranza” verso l’Italia, la frustrazione e la solitudine di figli trascurati dall’unico genitore: mosaico complesso e ‘risolvibile’ talvolta con un dialogo terapeutico.
3. UN OROLOGIO ‘SERIALE’ CHE NON DIMENTICA NESSUNO
La coralità di una fiction è sempre un rischio per un autore, tra la paura di uno sbilanciamento tra i personaggi e il rischio di ramificarne troppo le sottotrame, generando confusione al pubblico. E invece Alessandro Casale dirige un’opera, avvalendosi di un team artistico competente, con una messa in scena equilibrata e intelligente. I tempi per ogni personaggio sembrano infatti scanditi con un gong, attirando interesse ed empatia per ogni “micro-mondo” costruito. Preghiamo per la cura di Dante allo stesso modo di come auguriamo finalmente l’amore per il figlio Simone (Nicolas Maupas), siamo curiosi dell’ammiratore segreto di Luna (Luna Miriam Iansante) così come vogliamo che Nina (Margherita Aresti) riprenda sua figlia e facciamo il tifo per Rayan (Khadim Faye) e Viola (Alice Lupparelli) come rimaniamo preoccupati per il brutto giro dove si è trovato Mimmo (Domenico Cuomo). Insomma riusciamo a non perdere di vista nessun personaggio, grazie proprio a questo ticchettio preciso su ogni dettaglio della storia.
4. LE INSICUREZZE DEGLI ADULTI
Ebbene sì, oltre ai ragazzi c’è pure un’immagine sgretolata degli adulti. Quella barriera che mette genitori e figli sui due lati opposti, si frantuma nella serie tv, anzi. Nel caso di Manuel (Damiano Gavino) c’è quasi un ribaltamento di responsabilità nei confronti della madre Anita (Claudia Pandolfi), che ha perpetrato le sue insicurezze fino a età adulta. Anche Nicola (Thomas Trabacchi), padre di Viola e di Manuel, si fa portavoce di quei genitori assenti, cercando man mano una redenzione ‘televisiva’ che dovrebbe far riflettere. Dante, pure, getta il suo mantello quando viene colpito fisicamente dalla malattia, dimostrando quanto la messa in discussione della salute faccia paura a qualsiasi età. Per non parlare dell’amore, tallone d’Achille che si scontra fra silenzi orgogliosi e istintività ai limiti del buon senso. In pratica gli adulti vanno a braccetto coi giovani, facendoci capire come tutti siamo sulla stessa barca.
5. LA DIGNITA’ DELLA FILOSOFIA
E infine il focus di questa storia: la filosofia. Dall’associazione frettolosa e stereotipata di “materia noiosa”, la materia insegnata da Dante rivendica dentro “Un Professore” una dignità inedita. Centro nevralgico di ogni episodio, ogni pensiero dei vari filosofi presi in esame dimostra quanto sia importante riprendere in mano quel libro dagli scaffali e scorgerne tanti punti utili per affrontare la quotidianità. Riuscirà a essere un manuale migliore di un tutorial su Instagram?