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“Maregrigio” di Vincenzo Restivo, quando tutte le miserie del mondo sono concentrate in un posto solo | RECENSIONE

“Se un dio ha fatto questo mondo, non vorrei essere quel dio: l’estrema miseria del mondo mi dilanierebbe il cuore” scriveva Arthur Schopenhauer e non poteva avere più ragione. Nel libro di Vincenzo Restivo, Maregrigio (marchiato Officina Milena – 2020), tutta la miseria del mondo è concentrata in un solo posto.

“Il tempo, al dolore, lo orienta, gli dà concretezza, lo localizza”.

Siamo a Dragona e si avvicina il 15 di giugno, giorno in cui la statua della Madonna viene messa su una barca e attraversa così il mare. È un miracolo, quello della Vergine che solca il mare – che sembra, appunto, un po’ grigio, come le colpe, come le cose non dette, come quelle solo pensate e come la vita intera che non è né bianca né nera –, che è molto atteso dai cittadini devoti. In effetti, tutto ritorna lì: le persone, quelle che hanno motivi per sentirsi in colpa e anche quelle che non ne hanno, pensano incessantemente alla redenzione e a farsi perdonare affinché tutto – tutto! – torni al proprio posto. Ma non sono le preghiere a pulire il lercio del mondo e nemmeno con tutte le Ave Marie si possono cancellare, in certi casi, alcuni avvenimenti.

“La polvere si posa sulle cose come il lenzuolo sui morti, e sembra che ne sigilli l’austerità. La polvere è anche nell’aria, come impazzita, sorpresa a danzare dalle lame di luce che tagliano l’area con una geometria scorretta”.

La vicenda si svolge toccando alcuni nuclei familiari di Dragona.

Abbiamo Teresa, poco più che adolescente, obbligata dal padre a prostituirsi. Lei, che si è sempre sentita maschio nel corpo di femmina, impara sin troppo presto che tutto ha un prezzo. E così, se vuoi stare in porta a giocare a calcio con i maschi, magari devi leccare un tubo di ferro – umiliandoti e sentendo il sapore di ruggine penetrarti fin dentro le ossa – oppure mostrare a tutti quei maschietti arrapati quel corpo così femminile. Lo stesso, in effetti, che non senti tuo, che non ti appartiene pur essendo quello che vedi ogni mattina di fronte a te, nello specchio.

Ma lei non è – ahimè – l’unica persona presente in Maregrigio, capolavoro letterario.

“Certi dolori hanno la capacità di succhiarti via la vita”.

Abbiamo anche Marisa, donna triste, colma di sensi di colpa e frustrata, che va a letto con l’amico del figlio, tra mille rimorsi e con la paura che qualcuno lo scopra e ne parli. Magari a suo marito. Magari ai suoi tre figli, gli stessi che ama ma che non è capace di tirar su bene, con amore e serenità. Marisa non è capace di capire che quando si riempie un vuoto se ne crea un altro – per uno strano meccanismo di risucchio – da un’altra parte.

Abbiamo i fratelli adolescenti Diego e Stefano – il primo egoista e malvagio, sognatore ma di sogni sbagliati, e il secondo buono e compassionevole – che fanno una scoperta terribile e non parlano. Il silenzio, spesso, ha un caro prezzo: Diego e Stefano lo pagheranno senza sconti, con gli interessi. Pagheranno per la lingua che non si è mossa a raccontare, per il cervello che ha prodotto immagini di un mondo troppo sporco per due ragazzini, pagheranno entrambi la colpa di uno solo.

Abbiamo Ezio, lui con la sua voglia di essere chi vuole essere, perché tutti ne abbiamo il diritto. E vorrebbe dirlo, che gli piacciono i ragazzi, ma a Dragona questa cosa non si può fare, non è giusta, non è sana. Uomini con donne e punto. Senza virgole. E allora, sebbene desideri da morire una sorta di normalità, tace e si concede qualche briciola di amore di quando in quando. Ma quanto costa? E cosa si ottiene in cambio?

“Il sole rischiara pure le cose morte. Le illumina di una luce riflessa”.

Abbiamo anche Speranza, personaggio secondario ma ben presente. La si sente viva. E sporca. E innocente come solo le persone che scontano le pene più dure lo sono, talvolta.

Tutto il libro si legge con un nodo alla gola, con un senso di malessere diffuso. Ogni pagina, ogni riga, ogni parola… Beh, tutto si affronta con una sensazione di affanno, di afflizione. Di agitazione. Di ansia. Ansia di scoprire come va a finire la vicenda, certo, ma anche di continuare la lettura perché il mondo è pieno di male e nella pagina successiva – ne siamo certi – ce ne sarà a volontà.

Con accuratezza, brutalità e precisione – le descrizioni sono ‘sì scrupolose da restituirci una sorta di video di ogni scena –, Restivo racconta una storia cruda, sicuramente per stomaci forti, che rimane impressa anche dopo giorni dalla parola fine.

Si parla di omofobia, quel cancro della società che impone degli standard e quelli bisogna seguire. Si parla di prostituzione minorile e di violenza di genitori sui figli, la stessa che la povera Teresa subisce da quell’orco del padre, sempre pronto ad ansimarle sopra come un animale e a vendere il suo corpo al miglior offerente. Si parla di rimorsi, quelli che fanno male al petto e che scavano nello stomaco. Si parla di sesso sbagliato, tra persone che non dovrebbero farlo affatto (come tra genitori e figli o tra adulti e adolescenti) … Insomma, sesso che diventa feccioso, sbagliato, sesso brutale e sconcio, sesso rosso come le colpe e nero come l’abisso delle tenebre. E si parla anche di sesso giusto, tra persone dello stesso sesso, ma che andrebbe fatto alla luce del sole e non in posti che puzzano di chiuso, nascosti dal mondo, sporchi e che odorano di pipì e di vergogna.

L’aderenza alla realtà anche nelle parti più crude rende questo romanzo, che riporta tutte le colpe del mondo, verista.

Nel complesso, disturbante al punto giusto. Complimenti a Restivo.

Federica Cabras

Ventiseienne, grande sognatrice. Legge per 12 ore al giorno e scrive per le restanti 12. Appassionata di cani, di crimine, di arte e di libri. Dipendente dalle paste alla crema. Professione, giornalista.