BRIGA con “Che cosa ci siamo fatti” torna e lascia il segno
Tre anni fa cantava: “Conterò i miei passi fatti sopra i sassi. Anche quelli falsi valgono di più di te che non hai fatto un metro”.
Briga di metri ne ha continuati a fare in questi anni e ad oggi il suo nuovo album Che cosa ci siamo fatti rappresenta un passo giusto e consapevole, in grado di descrivere appieno un artista probabilmente non immediato e molto spesso sottovalutato.
Eppure basterebbe andare oltre l’ arroganza nello sguardo mio solo per fingere che è tutto ok. Ma anche se quell’arroganza fosse reale, ciò che resta è tutto quello che tira fuori attraverso un foglio e una penna.
Lo stile di Briga è riconoscibile, così come la sua voce. I concetti dei vari brani sono sempre coerenti, simili ma non uguali, trainati da un filo conduttore che è quello che poi riesce a trattenere chi ascolta, perché Mattia non gioca a fare la parte di quello troppo criptico e snob. Mattia ti racconta davvero quello che ha vissuto e lo fa bene, ma soprattutto con sincerità. La sua è una penna onesta, e non è scontato. Non immaginerei Briga alla ricerca della parola giusta e della frase più opportuna per far sognare più persone possibili, perché se c’è una cosa sicura è che non scrive per piacere agli altri ma per se stesso. Quando ascolti brani come “Che cosa ci siamo fatti” (primo singolo estratto dall’omonimo album) c’è solo il modo cruento di raccontarti la realtà e ti fa sentire in una situazione apparentemente banale, ma che appartiene un po’ a tutti noi: il finestrino abbassato in macchina, con la sigaretta e la strada vuota sulla riviera come antidoto a una nottataccia, mentre in radio una voce identificabile canta in mezzo a questo cielo nero adesso non ti trovo più. Ma dove sei? Dove sei? Sei la mia stanza vuota, ormai.
Ogni tanto invece ti dà una carezza, come fa con “Stringiti a me” o “Ciao papà”, ed è bravo anche in quello.
Che cosa ci siamo fatti, pubblicato il 1 Giugno, è un concept album su cui hanno messo le mani grandi musicisti, Boosta (tastierista dei Subsonica) per citarne uno, e che palesemente non è alla ricerca spasmodica di grandi numeri e certificazioni nonostante questo lavoro contenga delle chicche che forse solamente un artista come lui, eccentrico e schietto, romantico e glaciale, avrebbe potuto tirare fuori.
A Giugno ci si aspetta la hit estiva, ci si aspetta tutto ciò che lui non ha fatto, e ascoltando le tracce una dopo l’altra verrebbe da dire “menomale”.
Tolto il fatto che Briga sia bravo anche con le hit, e dal 2016 tra “Baciami”, “Nel male e nel bere” e “Mentre nasce l’aurora” lo ha dimostrato pienamente, le nuove canzoni sono un racconto che ascolteresti per ore. Non basterà un primo ascolto, e forse dopo il primo si resta un po’ scombussolati, ma già dal secondo inizierà ad essere tutto più chiaro e potrebbero davvero diventare canzoni che ti accompagnano durante i viaggi, anche quelli di notte sul comodino accanto all’insonnia.
Parla di sigarette e posacenere, di Trastevere e di motel, ed è difficile non immaginarsi tutto. È anche probabile aver vissuto almeno una delle situazioni raccontate, nonostante quelle facciano parte della sua vita.
Ad aprire il disco c’è “Se ti sbranassero gli squali”. Ho dovuto ascoltarla tre volte per capirla davvero. Dopo la prima metà non sono gli squali a sbranare, ma è la parte finale che ti sbrana lo stomaco e glielo lasci anche fare perché quando una canzone è in grado di farlo vuol dire che ha qualcosa di estremamente bello.
Più giù c’è “Mi sento strano” che fa sentire davvero strani. La sua voce qui è talmente intensa che sembra stia dicendo proprio a te quello scusami, non ho mai voluto illuderti.
C’è “Ciao papà” che è la nostalgia fatta canzone, ma quella nostalgia bella che ti riporta ai gesti semplici che una volta adulto apprezzi molto di più: avevo quindici anni, poi venti, poi niente.
“Stringiti a me” è un brano che Briga aveva proposto per Sanremo e, ascoltandolo, si fa fatica a capire il motivo dell’esclusione. Sembra perfetto per il palco dell’Ariston, ma ormai i giochi sono fatti e chiusi e porsi domande è anche inutile. Però “Stringiti a me” è un signor pezzo, soprattutto sul finale in cui la sua voce si sovrappone a se stessa e canta di tutto ciò che questa vita mi abbia regalato, niente è come te.
Una voce fuori dal coro c’è, ma inserita nel modo giusto, e merita un applauso a parte per la produzione: “Overlay”.
Non c’è effettivamente un brano che non si riascolterebbe, e se l’intento di Briga era quello di lasciare il segno ci è riuscito e ci riuscirà. Avrà tante persone in grado di capirlo e apprezzarlo. Non importa quante. Quelle giuste basteranno.
Dopotutto, la famosa finestra che non si apriva mai e sotto la quale era stanco di cantare (Le stesse molecole sa), credo si sia aperta da un bel po’. Sfondata ampiamente.
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