MUSICASTRANIERA

Mark Hollis dei Talk Talk era ben più che It’s my life e Such a Shame!

La vicenda di Mark Hollis, il leader dei «Talk Talk» scomparso ieri a 64 anni, è la storia di una star riluttante.

“It’s My Life» e «Such a Shame» sono due titoli che hanno segnato il pop degli anni ’80, canzoni diventate vere e propri inni sui quali costruire una carriera.

Mark Hollis era fatto però di una pasta diversa, era un artista ben più complesso della figura tipica del techno pop o dell’ondata «New Romantic» cui era stato assimilato.

La cosa strana è che nessun giornale cartaceo o sulla rete riporta con chiarezza come e quale è stata la causa del suo decesso, ma a chi importa conoscerne la causa. Hollis non incarnava lo stereotipo della rock star, sebbene per un certo periodo, insieme alla band, avesse flirtato con le classifiche di vendita grazie a dischi ancora oggi in grado di illuminare a giorno la grande stagione della musica rock di quel periodo.

Nel 1981 insieme a Lee Harris, Paul Webb e Simon Brenner diede vita ai Talk Talk. Fu Colin Thurston (morto nel 2007) a produrre The Party’s Over il disco d’esordio. Colin al tempo aveva già prodotto un certo David Bowie nonché l’esordio dei Duran Duran.

Va da sé che il suono del disco fonda istintivamente l’edonismo tipico del periodo entro logiche pop in divenire; pezzi come Talk Talk e Today definiscono le coordinate insondabili di uno stile inconfondibile.

Stiamo parlando di una produzione che i fan impareranno ad amare dopo il grande successo dei dischi successivi.

Nel 1984, anno fecondo per tante band pop dell’epoca, l’album «It’s My Life» (il secondo dei Talk Talk) aveva ottenuto un successo clamoroso: la casa discografica riuscì a tenere le briglia solo per un altro album, «The Colour of Spring», poi le cose cambiarono radicalmente.

Hollis cominciò a percorrere una sua strada creativa, abbandonando ogni sicurezza e inseguendo una sua idea, soprattutto si allontanò dalle forme più o meno tradizionali della canzone pop.

“Spirit of Eden», pubblicato nel 1988 dopo un lungo periodo di isolamento creativo, è un album che fa emergere e porta a maturazione tutti quegli elementi che ribollivano sotto la superficie dei grandi successi dei Talk Talk: siamo in territori più prossimi alla musica improvvisata che al pop.

Le vendite disastrose furono inversamente proporzionali alle lodi della critica: risultato il contratto discografico fu interrotto.

Da quel momento, se si escludono una collaborazione con il progetto UNKLE, una con Anja Garbarek e un brano per la colonna sonora della serie tv «The Boss», Hollis è rimasto in silenzio, isolato, quasi fosse un Salinger del pop.

Una scelta ancora più rimarchevole se si pensa al successo ottenuto nel periodo forse più florido della storia dell’industria discografica e al fatto che Mark Hollis era dotato di un timbro di voce inconfondibile, un vero marchio di fabbrica che gli avrebbe concesso una comoda e lunga carriera.

Hollis al successo e alla vita da star ha preferito la libertà creativa, ad ogni costo, un esempio su cui riflettere in questa epoca in cui si producono quattro album all’anno e se si è lontani dalla scene qualche mese già si viene considerati degli ex.

Buon viaggio Mark o come avresti detto tu Such a shame..It’s my Life!

Armando Biccari

Mi chiamo Armando Biccari ho origini pugliesi sono un giornalista ho lavorato e lavoro lavoro per diverse Testate giornalistiche online e Carta Stampata, e Radio TV ho vissuto in diverse città Italiane Genova, Venezia, Prato Macerata. Tra le mie passioni ci sono oltre al Cinema la comunicazione musicale Sociologia dei New Media Audiovisivi Televisione, e la comunicazione scientifica e tutto il resto...

Un pensiero su “Mark Hollis dei Talk Talk era ben più che It’s my life e Such a Shame!

  • Sergio Lastrucci

    Ottimo articolo, ma hai dimenticato di citare quel capolavoro di Laughing Stock ultimo album del1991. Un album imperdibile. Addio a un genio totalmente controcorrente.

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