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“Vite in fuga”, il viaggio interiore verso la razionalità | RECENSIONE

Il viaggio della speranza, per fuggire da sé stessi. Assume connotati psicologici il family thriller “Vite in Fuga”, ultima produzione Rai assieme a PayPerMoon, andata in onda per 6 serate fino a lunedì 7 dicembre. 12 puntate, costruite accuratamente dalla regia di Luca Ribuoli con scorci mozzafiato e tecniche visive sempre più innovative , che hanno disegnato una mappa geografica disordinata, folle, dettata dalle menti ramificate della famiglia Caruana, che ci ha fatto riflettere su fino a quanto si possa fuggire (invani) dai propri errori, prima di pagarne il conto. Solo che i paradigmi, questa volta, si rovesciano in itinere, facendoci quasi riconoscere nei panni del cosiddetto villain nascosto Cosimo Casiraghi (Giorgio Colangeli) e straniarci dal protagonista Claudio Caruana (Claudio Gioè). Infatti in un contesto puramente realistico, grazie al puro riferimento di cronaca relativo al fallimento bancario e alle dolorose conseguenze per gli azionisti più deboli della popolazione, s’inscena il paradosso dell’innocenza da parte di Claudio, defraudato della sua vita per l’accusa di omicidio al suo collega e amico Riccardo Elmi, ma che nasconde nelle pieghe dell’animo proprio i silenzi più assordanti, quegli accordi taciti col Presidente Wilcock, che han portato alla frode fiscale del Banco San Mauro.
Un progressivo rimorso di coscienza, pronto a scuotere ragionevolmente anche il patto di fuga con l’intera famiglia, che trova redenzione solo nelle pagine finali della fiction, quasi annebbiate dalla furia cieca del presunto ex agente segreto Cosimo, disposto a vendicarsi proprio allo stesso modo col quale ha visto perdere il figlio, ovvero col suicidio. Da qui scattano i dubbi morali dello spettatore, accorso davanti al tv con altri 4.5 milioni di persone, pronto a puntare il dito sulla crudeltà del piano diabolico, pur sempre tessuto con grande astuzia e dovizia criminale, ma anche a ridimensionare psicologicamente l’atto vendicativo dopo aver visto chi non è potuto fuggire davanti a una certezza e scosso da tale strappo di fiducia non ha avuto la forza di rialzarsi.


Uno scontro frontale, fra vendetta e redenzione, circondato da tanti altri schemi conseguenziali ben oliati negli altri personaggi del cast. Vediamo ad esempio le reazioni impulsive dei figli Alessio (Tobia De Angelis) e Ilaria (Tecla Insolia), rispettivamente pronti all’autoaffermazione oltre al cambio d’identità e alla trasgressione più irrefrenabile, così come quella della moglie Silvia (Anna Valle), indirizzata verso un’altra vita sentimentale che apparentemente, sul finale, si frena davanti allo sconto di pena del marito. Lontana a migliaia di km da Ortisei ma forse più accecata dalla vicenda rimane la protagonista indiscussa, l’ispettrice Agnese Serravalle (Barbara Bobulova), vero e proprio segugio della polizia che s’intestardisce sulla storia fino a deciderne la svolta finale, fino a compiere quell’individuale vittoria in faccia a qualsiasi strato superficiale vissuto nella Questura per mesi. E’ proprio lei, esempio forse di ossessione professionale ma anche di grande lungimiranza e caparbietà, che scampa la carneficina, annusando da sola le poche tracce lasciate dai Caruana per tutta la storia e crede, al netto di qualsiasi componente della famiglia, nella presa di coscienza di Claudio sul finale agrodolce, quasi a svolgere una metaforica dogana della psiche umana, quando il folle viaggio interiore giunge alla mera razionalità.

Luca Fortunato

Nato con la 'penna' all'ombra del Colosseo, sono giornalista pubblicista nell'OdG del Lazio. Accanto alle cronache del mio Municipio con il magazine La Quarta, alterno le mie passioni per la musica e il calcio, scrivendo per alcune testate online (M Social Magazine e SuperNews), senza dimenticare il mio habitat universitario. Lì ho conseguito una laurea triennale in Comunicazione a La Sapienza e scrivo per il mensile Universitario Roma. Frase preferita? "Scrivere è un ozio affaccendato" (Goethe).