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Blanco, la “follia” artistica che unisce una generazione sotto il cielo di Roma | REPORTAGE

Fare qualcosa di magico nella seconda città del cuore: missione difficile ma effettivamente riuscita a Blanco, vedendo il risultato del concerto di ieri, martedì 4 Luglio, allo Stadio Olimpico di Roma. Nella culla della sua squadra del cuore, l’artista lombardo ha dribblato le polemiche con disinvoltura, anzi le ha usate quasi come escamotage per ingraziarsi la folla, abituata già di suo alla goliardia. Non a caso son scappati fuori i problemi con la chitarra di sanremese memoria – e ironicamente riportata a galla da lui stesso -, un LED è stato volontariamente distrutto e i fiori son stati lanciati dall’immenso palco, ma c’è molto altro dietro a questi atti sregolati.

Blanco all’Olimpico, icona generazionale tra fragilità e rabbia

Infatti Blanco, per chi lo conosce dagli esordi, ha dimostrato un’anima contraddittoria, farcita da malinconie e da esplosioni emozionali, tipiche di una generazione che dalle 4 di pomeriggio si è specchiata in lui. 40.000 giovani ‘ribelli’, che, oltre a non essersi persi una strofa, hanno abbracciato il loro idolo sulle note di “Lacrime di piombo” e sulla sentimentale “Brividi”, senza scordare l’intramontabile overture artistica “La canzone nostra”. Tracce indelebili di un filo sottile che unisce arte e follia, dove le lacrime scese durante “Per un briciolo di allegria si sono mescolate alla posizione di puro relax in Blu celeste”, e dove i flash di “Lucciole” hanno puntellato i fuochi d’artificio in “Vada come vada”. Un mosaico visivo e sonoro di circa 2 ore su uno sfondo decisamente gotico, dove il giovane – il primo in assoluto anagraficamente a prendersi l’Olimpico – ha tirato fuori quell’agognato 100% di sé stesso, sospinto da una sincerità che alle volte genera spiazzamento e stupore per chi vive nei paradigmi classici della musica.

 

Blanco all’Olimpico, un contatto “eterno”

A facilitare le operazioni, ci ha pensato proprio il rapporto autentico con questa città che gli ha fatto fuoriuscire spontaneamente espressioni gergali anche colorite nelle pause o nelle stesse canzoni. Da quel riadattato “sotto il sole del Lungotevere” su “Sai cosa c’é”, la folla lo invita a quel “Roma alè” nel ritornello celebre di “Finché non mi seppelliscono”, che celebra di fatto un legame indissolubile con la città Eterna. Che lo guarda, fiera di un figlio adottato così in giovane età. “Roma roma roma roma roma roma roma”: sette rintocchi urlati alla fine per collegare il presente all’eternità, prima del discorso motivazionale per quella folla che lo ha posterizzato nel proprio cuore. Parole d’impeto, sulla base dei sogni da realizzare allo stesso modo con la quale Riccardo è riuscito da quella pizzeria dove lavorava, che valgono come una scintilla per una generazione ancora in cerca della propria luce. Magari visibile già all’uscita dello Stadio.

Cronaca di Federico Curatolo e di Pietro Ardizzi

Post-produzione a cura di Luca Fortunato

Luca Fortunato

Nato con la 'penna' all'ombra del Colosseo, sono giornalista pubblicista nell'OdG del Lazio. Accanto alle cronache del mio Municipio con il magazine La Quarta, alterno le mie passioni per la musica e il calcio, scrivendo per alcune testate online (M Social Magazine e SuperNews), senza dimenticare il mio habitat universitario. Lì ho conseguito una laurea triennale in Comunicazione a La Sapienza e scrivo per il mensile Universitario Roma. Frase preferita? "Scrivere è un ozio affaccendato" (Goethe).