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“Te lo dirò un’altra volta” di Alba Arikha | RECENSIONE

Il passato può essere fuoco. Arde sempre sebbene si getti acqua per indebolirlo. Brucia anche a distanza di anni. È senza tempo quando irrompe nella mente con un nonnulla. Vive e si compone attraverso la memoria che subisce l’irruenza dei ricordi. E se quest’ultimi sono terribili, annaspi oppure ti rafforzi. Molto dipende dalla tempra che ti sei costruito per darti slancio nella convinzione di farcela. Un mantra che ti ripeti per non finire nel precipizio della debolezza. Il passato corteggia la fragilità, la seduce, resta appiccicata negli occhi. A volte, indurisce anche l’animo e si mangia le parole, soprattutto quelle colorate, che devono trasferirsi sugli altri che non hanno vissuto il tuo ieri e che oggi pagano lo scotto di temperamenti enigmatici, chiusi. Alcuni uomini, in questo modo, non riescono a riconoscersi perché sono sfioriti con il loro passato che si è preso anche il riflesso di ciò che sarebbe stato diverso se non ci fossero stati eventi tragici, brutti, inconcepibili, orrendi. Situazioni queste che cambiano le persone e che mettono addosso tristezza, freddezza e un contegno misurato. Chi ha sentito sulla propria pelle il brivido della disperazione, della violenza, risale la china, se trova la forza, per non essere tutto quello che ha visto e patito. 

In Te lo dirò un’altra volta di Alba Arikha metti insieme parole sospese che filtrano tra ricordi e ribellione. Ne viene fuori un quadro di silenzi, di verità nascoste ed accantonate, di voglia di conoscere la trama che ha portato alla rigidità di manifestazioni di affetto che precipitano nel vuoto quando qualcuno le chiede con l’affronto. Un padre ed una figlia non si comprendono, lui tace e lei vuole sapere. L’uomo è un pittore affermato, un critico d’arte, e la sua rabbia, quando non la riversa su moglie e figlie, la lascia sulle tele. Chiede di sapere, Alba. “Te lo dirò un’altra volta” le risponde il padre, poi prende fiato e le racconta del 1941, della sua vita di bambino ebreo, della marcia nell’inverno ucraino verso un campo di concentramento. 

Il romanzo è coinvolgente, è scritto con una piacevole eleganza. Il racconto è un luogo di traumi, di incomprensioni generazionali, di memoria dei reduci dai campi di sterminio nazisti ed il silenzio rischia di cancellarne la testimonianza. Il libro si fa pieno anche della vita interiore di una adolescente tempestosa che intende capire, sapere ed imparare.

Lucia Accoto

Lucia Accoto. Critico letterario per Mille e un libro Scrittori in Tv di e con Gigi Marzullo Rai Cultura. Giornalista, recensore professionista.