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Made In Italy, le origini della moda con lo sguardo tipicamente innocente| RECENSIONE

Gli occhi sulla storia, per far ammirare al grande pubblico le radici anche più nascoste e talvolta scomode: riparte così Mediaset, per rilanciare la grande fiction italiana, attraverso “Made In Italy”. Scavando proprio nella sua comfort zone geografica e sui suoi punti più forti e rivoluzionari, la cinepresa del gruppo affiliato Taodue, assieme al gruppo The Family, si scatena letteralmente sui costumi originali degli anni ’70 di quella Milano a cavallo fra terrorismo e creatività. Infatti, grazie all’uso di immagini di repertorio e di pezzi autentici dei più grandi atelier dell’epoca, il pubblico – radunato per oltre 3 milioni davanti allo schermo ieri sera – si è ritrovato immerso in quella dura realtà di ormai circa 50 anni fa, trovandone un velo di innocenza nello sguardo della protagonista Irene Mastrangelo. E’ proprio lei, interpretata dalla modella Greta Ferro, a indossare quel classico vestito dell’ingenua e “sognante” stagista – al pari di quell’Andrea Sachs“Il diavolo veste Prada” – e a calarsi in quella contro-risposta artistica che di fatto avrebbe rivoluzionato il panorama internazionale della moda. Il laboratorio nel quale la ragazza si trova per puro caso a entrare è proprio quello di una rivista d’avanguardia, “Appeal”, baluardo giornalistico della moda – ma pieno di cliché gerarchici ormai noti – e megafono di quella gioventù rampante che stava bypassando l’Haute Couture per raggiungere il pret-a-porter, da Albini a Krizia fino ad Armani, Versace e Missoni. Nomi, ormai sinonimo di classe e garanzia, che vengono ricordati dalla creatrice della fiction Camilla Nesbitt e interpretati da grandi attori (da Stefania Rocca a Raoul Bova, a Nicoletta Romanoff) per quella trasgressione stilistica che avrebbe ancor più sfatato il tabù di quell’Italia ancora sotto marca democristiana, soprattutto dal punto di vista sociale. E infatti qui si fonda il parallelismo in “Made in Italy” con quella battaglia moderna di parità di genere, proponendo proprio una “Cenerentola” self-made, in grado di liberarsi già nella prima puntata, dalle catene del patriarcato e assaporare il senso di libertà che si diffondeva fra i giovani di tutta Italia, anche grazie alla forza di un’altra donna visionaria e appassionata, la caporedattrice e mentore Rita Pasini (Margherita Buy). Ma non solo: s’intravede dagli occhi della collega Monica (Fiammetta Cicogna) pure quel bisogno di liberazione sessuale, dalla sfrenatezza femminile – osata sugli stage degli shooting fatti da John (Marco Bocci) e nelle sfilate d’alta moda – al fermento omosessuale, sotto ancora la mano ferrea della morale pubblica e della giustizia.
Insomma la fiction, lanciata in anteprima da Amazon Prime e pronta ad andare in onda per altre 3 serate su Canale 5, racconta due storie importanti, dal rilancio dell’emittente pubblica in termini di qualità seriale alla trama scomodamente pedagogica, dando modo a ogni persona di poter vivere da vicino la nascita di un settore che ci rende fieri di essere “Made in Italy”.

Luca Fortunato

Nato con la 'penna' all'ombra del Colosseo, sono giornalista pubblicista nell'OdG del Lazio. Accanto alle cronache del mio Municipio con il magazine La Quarta, alterno le mie passioni per la musica e il calcio, scrivendo per alcune testate online (M Social Magazine e SuperNews), senza dimenticare il mio habitat universitario. Lì ho conseguito una laurea triennale in Comunicazione a La Sapienza e scrivo per il mensile Universitario Roma. Frase preferita? "Scrivere è un ozio affaccendato" (Goethe).